Autore: Gianluca Carinci (---.pool8257.interbusiness.it)
Data: 03-29-05 16:54
Ciao Claudio, ciao tutti,
in effetti "oltre un certo limite" non ha molto senso parlare di strumento migliore di un altro o di oculare migliore di un altro, e questo si applica anche agli APO.
Lo strumento "migliore", che sposasse portatilità, altre prestazioni nel visuale, correzione sull'intero spettro di interesse, campo magari piano, capacità di raccolta luce e versatilità è cambiato negli anni: rifrattore 4" f/15, Newtoniano 8" f/6, poi lo SC da 8"/10", oggi gli APO…, ciascuno con i propri compromessi, e cisacuno divenuto disponibile seguendo il progresso tecnologico (molto intenso negli ultimi decenni nell'ottica applicata) e la disponibilità degli amatori.
A livello amatoriale, dove il costo e la fattibilità in serie (su scala almeno medio-piccola) è fondante, i disegni sono un po' lgli stessi da sempre e, rivoluzioni a parte (tipo ottiche replica) largfamente sarà così in futuro: sicuramente vedremo schemi più o meno ottimizzati per questo o quello grazie ai software di calcolo che hanno algoritmi di ottimizzazione automatici.
Ma uno strumento dalle caratteristiche avanzate i ngenere è anche meno versatile, e ha il brutto vizio di costare molto.
Per il resto, obettivi bagnati in olio sono stati introdotti in microscopia praticamente da subito, gli oculari monocentrici di recente mitizzati hanno 150 anni, i sistemi neo-acromatici da cui derivano i sofisticati schemi Vixen e il NP della TV non molto meno.
In passato solo le applicazioni governative hanno avuto la "fortuna" di avere caratteristiche di disegno che seguivano le specifiche del committente senza comproimessi (in particolare di prezzo): oggi anche gli amatori hanno analoghe possibilità, ancghe se la scala è (per ora) più piccola.
A parità di spesa oggi sono disponibili strumenti a costi molto inferiori a non molti anni fa, pure gli interessi si sono reindirizzati verso schemi meno usuali, magari che meglio sposino l'elettronica, l’uso di sensori moderni, la trasportabilità sotto cieli scuri, la versatilità e la riconfigurabilità (più che essere strumenti "migliori" in assoluto).
I primi a farne le spese sono stati forse proprio i rifrattori: un tempo (fino a metà anni '80) proprio gli strumenti di èlite e di arrivo per l’astrofilo evoluto.
Sempre apprezzati per la qualità delle prestazioni (complici diametri limitati e rapporti lunghi), ma ingombranti già nel diametro 10cm (un po' il minimo per raccogliere qualche soddisfazione in più).
Fino ai ’20 del passato secolo artigiani come i Cooke o ditte come la Zeiss e la Clavè visitavano il richiedente, ne ascoltavano le necessità e costruivano lo strumento praticamente su misura, magari con restrizioni dei batch di vetro disponibile sul momento (BK7 o analogo a parte, c'era solo una manciata di vetri disponibili): un lavoro di alta sartoria, per cui un telescopio da pochi cm di diametro costava quanto un villino.
E, per dare un’idea delle risorse e delle necessità del tempo, pure appartiene ad un’altra epoca il disegno di un doppietto di cui ribaltando l’elemento frontale, si cambiava la correzione da "c-f" (per il visuale) alla "f-g" (per il fotografico).
Con le tavole troigonometriche era necessario un giorno o giù di lì per tracciare pochi acammini di ottica geometrica e per una grossolana valutazione di un disegno: il ray tracing "skew" era riservato alla verifica finale (settimane dopo…).
Cura e dedizione reano ai massimi livelli, ma sicuramente minore era la qualità dei materiali e la comprensione e la possibilità di riduzione dei dati.
Spesso sui rifrattori si adottava lo schema "piegato" (noto fra gli amatori gli Unitron, e oggi ancora offerti alcuni Kowa), almeno come opzione per la routine.
I tempi sono cambiati, e i telescopi di oggi sono molto più performanti: se poi si guarda a quella che è stata la produzione di serie (magari anche piccola) aldilà delle leggende, un Parks degli anni '60 non è confrontabile né otticamente né meccanicamente con un buon riflettore di oggi, magari anche di importazione meno nobile. E poi l’apertura di frange interessate a prestazioni "a qualsiasi costo" anche fra gli amatori ha reso disponibili strumenti con sempre meno "restrains" (costo, ingombro, numero di elementi). Oggi sono molti ad avere un TV 101 da usare sul balcone tre volte il mese per una rapida occhiata: un tempo uno strumento paragonabile neanche esisteva: sono cambiati gli strumenti, gli amatori, ma anche la fruizione degli strumenti da parte degli amatori:
Tornando ai rifrattori, senz aentrare nei motivi, dico subito che la mia opinione bisogna prenderla con le molle.
Detto questo, un rifrattore di qualità nel visuale può restituire immagini senza spettro secondario: Non sto parlando dei rifrattori di importazione (i 150mm f/8 sono apprezzati, ma io li trovo discutibili quanto meno: sarà che sono un dinosauro di un’altra epoca): i vetri devono essere di qualità, il disegno modificato seguendo i dati della fonderia etc..
E ovviamente partiamo dal presupposto che il rapporto focale deve essere lungo abbastanza.
La chiave è nell’"abbastanza": brutalmente, il disco di Airy ha dimensioni lineari che dipendono dal rapporto focale e dalla lunghezza d’onda: "a naso", se il rapporto rende le dimensioni del disco di diffrazione dei vari colori inferiori ad un dato riferimento (diciamo, il disco della luce verde del sodio, per dire), lo strumento non mostrerà colore secondario: un 80 mm f/12, un 100mm f/15, un 125mm f/22 saranno nel visuale apocromatici.
Diversi i criteri per raggiungere questa condizione: Conrady ne fornì uno molto stringente, Kingslake ne propose uno che considerava parametri fisiologici,… i cinesi forse considerano qual è il rapporto migliore per riempire i container (scherzo).
Ovviamente poi ci sono lo sferocromatismo (che però in genere risulta del tutto trascurabile) e le differenze di fae dei fronti d’onda dovute alla turolenza: sono queste che causano aloni colorati che durano istanti nelle notti di cattivo seeing, anche negli APO.
Riguardo "purezza", contrasto etc, la scelta dei materiali e delle intubazioni è critica: un Pentax astrografico avrà correzione ottimizzata per campo piano, risposta dei sensori che si saono scelti quali riferimento, diaframmi di dimensioni che consentono illuminazione adeguata; un Pentax "classico" o un Unitron d’antàn probabilmente avrà un campo di piena luce non molto oltre i 20’; probabilmente il pentax avrà bisogno dui eleemnti in più per correggere curvatura di campo e rimanere aplanatico, e probabilmente un po’ di sferica residua sarà più che accettabile.
La cosa non deleteria né fa storcere il naso: semplicemente, l’Unitron è un "foro stenopeico" e va preferito sulla luna nel visuale, il Pentax ha caratteristiche diverse, che lo rendono senz’altro preferibile in una pletora di altri usi.
Dico Pentax e Unitron per identificare due tipologie di strumenti, e non a due modelli particolari.
Il Vixen deriva da schemi quali lo Schupmann e i rifrattori mediali, almeno nelle intenzioni.
Lo Schupmann nacque proprio perché al tempo blanks in flint erano costosi e disponibili in diametri ridotti e di qualità non eccelsa: l’uso di un "correttore" a metà strada permise di ottenere configurazioni meno versatili, ma meglio corrette e ben meno costose.
Schemi analoghi hanno modificato lo Schupmann (che in alcune versioni usa uno specchio e elementi tutti dello stesso vetro) e, hanno fatto a meno del fuoco intermedio dello Schupmann.
Nel caso dei Vixen, una sorta di "Chromacorr" preinstallato in fabbrica ? Se così, ben meglio (almeno dal punto di vista della coerenza) di un accessorio che costa il doppio del telescopio completo, introduce dominanti, ha spessore ottico impossibile e viene venduto dando per scontata una aberrazione sferica residua che il cliente deve misurare con lo "spannometro".
Gli APO sono strumenti di vertice, ma appunto per questo non lasciano nulla al caso: versioni fotografiche nativamente spuntano meno di analoghi ottimizzati per l’alta risoluzione nel visuale o con CCD, esattamente come una Formula 1 non si comporta bene su due circuiti diversi. E esattamente come una Formula 1 hanno bisogno anche di un minimo di attenzione, perché NON è vero che danno sempre il massimo: appena si superano diametri intorno ai120mm anche gli APO si rivelano strumenti critici e intolleranti.
Insomma, meglio mettere il naso nei vari APO: se ci si accontenta di un 70mm ca non si corrono molti rischi nello scegliere un modello al posto di un altro; oltre i costri saltano subito su, ed è meglio scegliere "cum granum salis" in funzione degli interessi e delle applicazioni.
I rifrattori classici sono macchine "per chi vuole proprio quelli", e non è detto che non sia una scelta giusta.
Io, ripeto, questo lo dico da posizioni opposte a quelle di obiettività.
Devo però dire che ho rifrattori a lungo fuoco da 100mm a 150mm (miei, di Zen e giapponesi) e mi hanno dato/mi danno grandi soddisfazioni nel visuale: un buon 150mm sul profondo cielo è impressionante, il 100mm funziona come un orologio svizzero dal balcone in condizioni di seeing altrimenti impossibili (ma certo, su pochi soggetti, e con tutti i limiti del caso).
Anche io sto penandoo ad un APO per uso personale: mi piacerebbe qualcosa a cavallo dei 130mm: vedremo…
I miei primi strumenti furono Dobson, e ho sempre desideri di avere buone caratteristiche sul profondo cielo: un APO e un buon acromatico intorno ai 4" possono ancora essere confrontati fra loro nel visuale, ma se devo pensare ad un primo strumento oggi tenderei a consigliare un 200mm (a una frazione della spesa).
Oggi, forse, ha ragione Antonio; i rifrattori sono consigliabili a chi ha già un altro strumento. Non condivido la necessità di una sorta di "maturità": magari si sceglie un rifrattore per una certa affinità, ma non vorrei che, come ai tempi dei Clark, l’Astronomia torni ad essere un’attività di èlite.
Quello che veramente mi lascia interdetto è la tendenza al giudizio da "illuminati" dei "già possessori": preferisco i "dati alla mano" all’esperienza estetica pura (che ha la sua importanza, intendiamoci)
. In effetti le pubblicità sono serie: spesso le recensioni un po’ meno… Meglio affidarsi agli amici sui forum…
Direi: partendo da una minima disponibilità (che già fissa degli ambiti di scelta abbastanza netti) conviene fissare i modelli "papabili" e scegliere dopo avere preso "a peek", agli star parties. Io proverei a dare un’ochiata entro i 120-150mm di importazione, li confronterei con i 100 mm e giù di lì di qualità (che hanno prezzi confrontabili, ma nache ben più alti) e darei un occhio anche entro dei buoni Mak e SC:, giusto per chiudere il cerchio dei "tubi chiusi" più diffusi: questi comunque hanno grandi vantaggi e spuntano prestazioni di rilievo anche nell’high res.
In sintesi, secondo me gli APO sono indiscutibili nei diametri minori per chi può (non ostruiti, resa ottica a ridosso della teorica, belli, durano una vita, molti modelli sono performanti in tutti gli usi fotovisuali…) ma è anche vero che appena al di là di questi modelli c’è una pletora di strumenti più versatili, molto preformanti e che non obbligano a vendere un rene (o anche…il secondo rene…). A meno di usi specialistici o condizioni particolari di cielo, avere solo un rifrattore intorno ai 100mm secondo me arriva ad essere fortemente limitante.
Poi, a forza di preferire "più piccolo e più migliore" (scusate la licenza) ultimamente siamo riusciti a farci propinare rifrattori APO da 50mm: avranno la loro utilità, ma, scusate, siamo un po’ al paradosso ed è evidente che lì sono logiche da gadgeteria o status symbol a muovere l’acquirente.
Clear Skies
Gianluca
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